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Corpo e mente: la lingua silenziosa della somatizzazione

Chi non ha mai avuto un mal di pancia improvviso, un dolore alla cervicale o una fitta allo stomaco nei periodi di stress? E quante volte, di fronte alla ripetizione o alla cronicizzazione di questi disturbi, ci siamo chiesti: “sto somatizzando?”

La risposta non è semplice, ma la domanda è giusta. Spesso la nostra prima reazione è farmacologica — ricorrere a rimedi allopatici o omeopatici — ma raramente ci fermiamo a considerare il significato psicologico e biologico del sintomo. Eppure, come oggi riconosce pienamente anche la medicina, il corpo non mente: esprime in linguaggio fisico ciò che la mente non riesce a dire.

Che cos’è la somatizzazione?

Secondo il DSM-5-TR (APA, 2022), il Disturbo da Sintomi Somatici non è una simulazione o un’esagerazione, ma una condizione in cui un disagio emotivo viene espresso attraverso il corpo.Non è “finzione”, ma una modalità inconsapevole con cui l’organismo cerca di regolare uno stato interno di stress o conflitto psichico.

La psicosomatica moderna — da Franz Alexander a George Engel fino alla biopsychosocial model contemporanea — ci insegna che corpo e mente sono due facce della stessa rete biologica. Ogni emozione ha una controparte somatica: quando siamo tristi piangiamo, quando abbiamo paura il cuore accelera, quando proviamo rabbia i muscoli si tendono.

In altre parole, le emozioni sono processi neurofisiologici prima ancora che psicologici (Damasio, 1994).Quando però un’emozione viene repressa, ignorata o costantemente sollecitata, il corpo continua a parlarne per noi.

Il dialogo invisibile

Il cervello e il resto del corpo comunicano ininterrottamente attraverso un complesso sistema di segnali elettrici e chimici. In situazioni di stress, l’amigdala — centro limbico deputato alla rilevazione del pericolo — attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), che porta al rilascio di cortisolo, il principale ormone dello stress.

In condizioni normali, il sistema parasimpatico interviene successivamente per calmare l’organismo, riportando equilibrio (omeostasi).Ma quando la percezione di minaccia è costante — come avviene in caso di stress cronico o traumi relazionali — l’asse HPA resta iperattivo. Il risultato è un iper-arousal neurovegetativo che può amplificare i sintomi fisici preesistenti o generarne di nuovi: dolori addominali, cefalee, nausea, vertigini, tensione muscolare, tachicardia (McEwen, 1998; Porges, 2011).

In sostanza, lo stress cronico altera la fisiologia: il cortisolo in eccesso diventa “tossico” per l’organismo, interferendo con l’immunità, il sonno, la digestione e l’umore.


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Prendersi cura del corpo-mente

Oggi la ricerca in psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI) e nelle neuroscienze affettive mostra che prendersi cura della propria dimensione emotiva ha effetti diretti sulla salute fisica. La regolazione dello stress attraverso psicoterapia, mindfulness, tecniche di respirazione o attività corporea (yoga, bioenergetica, EMDR, approcci somatici) può ridurre i livelli di cortisolo e ristabilire la coerenza neurovegetativa.

Rivolgersi a professionisti che lavorano in un’ottica psicosomatica integrata non è un segno di debolezza, ma di consapevolezza. Abbiamo un corpo — ma non siamo solo un corpo: siamo una rete viva di emozioni, ricordi e sensazioni che si influenzano reciprocamente.

Prendersi cura di sé, dunque, significa ascoltare entrambe le voci: quella della mente e quella del corpo, che da sempre parlano la stessa lingua, anche quando crediamo di non capirla.

Ritrovare la sicurezza come forma di cura

In fondo, ogni percorso di guarigione — fisica o psichica — è un lento ritorno alla sicurezza del corpo. La ricerca nell'ambito della teoria polivagale ci ricorda che prima della parola, prima del pensiero, esiste un linguaggio antico che parla attraverso il ritmo del respiro, il battito del cuore, il tono della voce. Ritrovare la calma del sistema ventrale vagale significa riattivare la possibilità di sentire e di essere sentiti, di abitare le relazioni senza difendersi da esse. La cura, allora, non consiste solo nel sedare il sintomo, ma nel riaccordare il sistema nervoso alla fiducia, alla possibilità di essere al sicuro nel mondo e con l’altro. È qui che la mente smette di combattere il corpo, e il corpo smette di gridare ciò che la mente non riusciva più a dire. In quella nuova coerenza — biologica, emotiva e relazionale — si apre lo spazio silenzioso in cui può tornare a fiorire la salute: come una forma di ascolto profondo, o come il respiro che finalmente trova ritmo dopo un lungo trattenere.

La teoria polivagale: il corpo come sentinella della sicurezza

La teoria polivagale di Stephen Porges offre una chiave preziosa per comprendere come il corpo risponda agli stati emotivi e relazionali. Secondo questa prospettiva, il nostro sistema nervoso autonomo non è solo un regolatore biologico, ma una sentinella costante della sicurezza. Attraverso il nervo vago — che collega il cervello al cuore, ai polmoni e agli organi viscerali — il corpo valuta, istante per istante, se l’ambiente è sicuro o minaccioso. Quando percepisce protezione, si attiva il ramo ventrale vagale, che ci permette di respirare in modo regolare, di comunicare, di entrare in relazione con calma e fiducia. Al contrario, quando la mente percepisce pericolo, subentrano le vie più antiche: il sistema simpatico, che prepara alla fuga o all’attacco, e quello dorsale vagale, che porta al blocco, alla chiusura, alla disconnessione. Comprendere questo linguaggio del corpo significa poter leggere la somatizzazione non più come un tradimento del sé, ma come un tentativo di autoregolazione: un modo in cui l’organismo, non sentendosi al sicuro, cerca comunque di sopravvivere. Ristabilire la sicurezza, allora, non è un atto solo psicologico, ma biologico: è aiutare il corpo a ricordare che può tornare a respirare, che non è più in pericolo, che può finalmente lasciarsi andare alla vita.

Interconnessione tra corpo e mente

Corpo e mente non sono due linguaggi distinti: sono la stessa voce che parla con registri diversi. La somatizzazione, la risposta allo stress, la disfunzione dell’asse HPA, le oscillazioni del sistema nervoso — tutto questo non è altro che la narrazione biologica del nostro vissuto emotivo. La teoria polivagale ci insegna che la sicurezza è il fondamento della salute: un sistema nervoso che percepisce protezione può aprirsi alla relazione, alla calma, all’apprendimento; uno che vive nella minaccia si chiude, si irrigidisce, traduce la paura in dolore.

Ogni dolore che si manifesta nel corpo è, in fondo, una richiesta di ascolto. Non per negare la dimensione organica, ma per restituire complessità al modo in cui comprendiamo la sofferenza umana. Curare, allora, significa saper integrare: dare al sintomo un senso, al corpo una voce, alla mente un luogo dove riposare. È questo lo spazio della cura integrata — dove la scienza incontra la coscienza, e dove la verità del corpo può finalmente essere accolta come parte della verità di sé.

 
 
 

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